La pillola abortiva

Negli Stati Uniti è stato approvato l’uso del mifepristone: la pillola abortiva (Ru 486), che è una sostanza in grado di indurre l’aborto. Subito in Italia sono sorte polemiche e critiche sulla possibilità di registrare il farmaco. Discordanti le opinioni degli esperti che per la maggior parte, di fronte ad  un nuovo metodo abortivo,  sono ostili e scettici.

Sono ancora pochi i medici che considerano questo metodo farmacologico un diritto della donna di poter scegliere un metodo meno invasivo  e traumatico dell’operazione chirurgica. Il buon senso dovrebbe portarci in questa direzione, facendo tutto nell’ambito della legge sull’aborto, rispettando tutte le procedure contemplate.

Quindi continuando ad effettuare colloqui preliminari con lo psicologo, in modo da accertare la volontà incondizionata della donna di interrompere la gravidanza. Anche se a qualcuno può essere sembrata una novità, il mifepristone è noto da tempo e il suo impiego per l’aborto medico (per distinguerlo dall’aborto chirurgico) è cominciato proprio in Europa, in Francia per l’esattezza, nel 1989. Con molte difficoltà il farmaco è stato successivamente approvato in Gran Bretagna e Svezia.

A oggi si ritiene che sia stato impiegato in Europa in oltre 600.000 donne e fonti non ufficiali indicano che in Cina (altro paese in cui è da tempo consentito l’impiego del farmaco) gli aborti così effettuati siano oltre 3.000.000. Nel nostro Paese sei ospedali hanno chiesto di adoperare la Ru 486, spiegando che il loro protocollo consentirebbe di interrompere una gravidanza fino al 49° giorno.  In effetti è un piccolo parto, ci sono quindi dei dolori, ecco perché in Francia questa soluzione è preferita solo dal 20%-30% delle donne. Invece nei Paesi del nord Europa è la regola, anche perché con le prostraglandine si somministrano antidolorifici.

In realtà il mifepristone non è un ormone, ma una sostanza che impedisce al progesterone (questo sì un ormone fondamentale) di svolgere il suo lavoro, occupandone i recettori nell’apparato genitale femminile. Il risultato è che la somministrazione del mifepristone dopo che è avvenuto il concepimento induce l’aborto. In pratica, sostituisce il bisturi attivando gli stessi meccanismi che causano l’aborto spontaneo. Peraltro, vista la sua azione, per questo farmaco è stato ipotizzato anche l’impiego nel trattamento del tumore della mammella, dell’endometriosi e della sindrome di Cushing, tutte malattie il cui andamento dipende proprio dall’azione degli ormoni sui tessuti interessati (mammella, utero…).

Attenzione, però, il mifepristone non funziona da solo come abortivo: viene infatti associato con un’altra sostanza, per la precisione una prostaglandina (il misoprostolo ma anche altre). Ovviamente, si assume sotto controllo medico, anche se non è necessario restare in ospedale ininterrottamente fino ad aborto avvenuto. Prima di procedere, però, è necessario determinare esattamente lo stadio della gravidanza (l’efficacia del farmaco è massima elle primissime fasi) e controllare che non sia in atto una gravidanza extrauterina (può essere sufficiente un’ecografia).

SOMMINISTRAZIONE DELLA PILLOLA ABORTIVA

Lo schema prevede la somministrazione di 600 mg di mifepristone e, due giorni dopo, la somministrazione della prostaglandina. Di norma, al massimo entro due settimane dalla somministrazione del secondo farmaco si produce l’aborto spontaneo, ma nel 75% dei casi l’aborto si verifica già entro 24 ore dall’assunzione della prostaglandina.

EFFICACIA DELLA PILLOLA ABORTIVA

Complessivamente, l’efficacia è del 95% circa, a patto che si agisca entro la settima settimana di gravidanza. Finora non ci sono state segnalazioni di incidenti gravi, ma deve comunque essere chiaro che abortire con la pillola comporta gli stessi effetti collaterali della procedura chirurgica: possibilità di emorragie, dolori addominali, disturbi gastrointestinali. Rispetto all’intervento, però, non c’è il rischio di lesioni all’utero e nemmeno i rischi legati a qualsiasi anestesia. Ovviamente, se il trattamento non ha effetto è necessario comunque procedere chirurgicamente.

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